Il racconto retrospettivo di un’impresa eroica: i due spagnoli che entrarono a Pavia il 13 gennaio 1525

Il racconto retrospettivo di un’impresa eroica: i due spagnoli che entrarono a Pavia il 13 gennaio 1525
Avatar photo

L.M.

Nel cuore dell’assedio di Pavia, tra il gelo dell’inverno e l’incertezza della guerra, due uomini compirono un’impresa tanto audace quanto decisiva per le sorti della città. Era il 13 gennaio 1525 quando due spagnoli riuscirono a infiltrarsi tra le maglie dell’esercito francese per portare all’interno delle mura messaggi e oro destinati al comandante imperiale Antonio de Leyva. Questo episodio, narrato con solenne precisione dal cronista Francesco Taegio, testimonia il coraggio e l’abilità strategica delle forze imperiali nel mantenere il collegamento con la città assediata.

Ma chi erano questi due ardimentosi? La loro identità ci viene svelata proprio dalle parole di Taegio, che, raccogliendo testimonianze dirette dopo la battaglia, ci introduce nelle pieghe di questa missione pericolosa. I protagonisti di questa impresa furono Francesco Cisneros e il suo fidato compagno Bartolomeo Romero, entrambi sotto il comando del Marchese di Pescara, Fernando Francesco d’Avalos.

La missione impossibile: dal campo imperiale a Pavia

La vicenda prende avvio a Lodi, dove Cisneros, già distintosi per il suo valore ma costretto alla fuga dopo un omicidio in duello, ricevette dal Marchese di Pescara un incarico che avrebbe potuto redimerlo: infiltrarsi nella città assediata per portare lettere e tre mila ducati d’oro agli assediati. Un compito che avrebbe richiesto astuzia, coraggio e una buona dose di inganno.

Per riuscire nell’impresa, i due spagnoli misero in atto un’abile strategia: sfruttare un falso passaggio al campo francese. Grazie alla complicità del capitano spagnolo Pedro Guevara, che militava tra le file francesi, Cisneros ottenne un salvacondotto convincendo il re di Francia che voleva disertare. In realtà, era solo il primo passo del piano.

Dopo aver guadagnato la fiducia dei francesi, Cisneros e Romero nascosero l’oro all’interno di giubbotti identici a quelli indossati dagli spagnoli al servizio di Francesco I. Per evitare sospetti, affidarono il prezioso carico a due venditori di burro, che entrarono nel campo francese fingendosi commercianti ambulanti. Tuttavia, un imprevisto rischiò di far fallire tutto: i venditori cambiarono posizione e, quando Cisneros e Romero tornarono a cercarli, il loro banco era scomparso.

Per un attimo, i due pensarono al peggio: che fossero stati scoperti o che i finti mercanti fossero fuggiti con l’oro. Ma il destino sorrise loro. Dopo qualche ricerca, Romero individuò la nuova postazione dei venditori, e la missione poté proseguire.

L’ingresso in Pavia e il messaggio di speranza

Nella notte del 13 gennaio, sfruttando il caos del vasto accampamento francese, Cisneros e Romero si allontanarono, muovendosi con cautela verso le mura di Pavia. Superati i controlli, giunsero infine al cospetto di Antonio de Leyva. Stracciandosi i giubbotti, mostrarono il messaggio del Marchese di Pescara e consegnarono l’oro, segno tangibile che l’esercito imperiale non aveva abbandonato la città.

Le parole di Cisneros, riportate da Taegio, risuonarono come un grido di speranza per gli assediati:

“Il nostro Signore Marchese vi manda a dire di essere di buon animo, perché, non appena sarà possibile, verrà a liberarvi. Il Duca di Borbone sta per arrivare con migliaia di lanzichenecchi, e al suo arrivo si muoverà l’intero esercito per la vostra salvezza.”

La città, ormai allo stremo, trovò nuova forza per resistere. L’arrivo dell’oro permise di alleviare, almeno in parte, la sofferenza dei soldati, mentre la promessa di un prossimo soccorso ridiede morale alle truppe.

Un’impresa decisiva per la Battaglia di Pavia

La missione di Cisneros e Romero non fu solo un atto di coraggio, ma una mossa strategica cruciale. Se Pavia fosse caduta prima dell’arrivo dei rinforzi imperiali, il destino della guerra sarebbe cambiato. Invece, grazie a questa impresa e alla determinazione dei difensori, la città riuscì a resistere fino alla notte del 23-24 febbraio, quando le forze imperiali sferrarono l’attacco decisivo che portò alla disfatta dell’esercito francese e alla cattura di Francesco I.

Ancora oggi, il racconto di Taegio ci restituisce tutta la tensione e l’eroismo di quella notte di gennaio, in cui due spagnoli, con astuzia e valore, scrissero una delle pagine più incredibili dell’Assedio di Pavia.

di Francesco Taegio

Francesco Taegio

Benché di fuori abbia scritto succintamente, cari lettori, che quando Pavia si trovava completamente circondata dall’esercito del Cristianissimo Re, due Spagnoli vi entrarono portando con sé tre mila ducati d’oro per il Signor Antonio de Leva, voglio ora raccontare più dettagliatamente il loro incredibile viaggio. Infatti, dopo che il testo era stato quasi completato, alcuni miei amici, persone di grandissima fiducia, vennero a Cremona e mi riferirono che loro stessi si trovavano in Pavia in quel tempo e avevano più volte parlato con quegli Spagnoli, i quali raccontarono fedelmente il modo in cui erano riusciti a entrare nella città.

Essendo questa storia degna di memoria più di ogni altra, ho deciso di trascriverla per intero.

Tra le truppe raccolte a Lodi per servire l’Imperatore, difendere l’Italia e sostenere il Signor Francesco Sforza, Duca di Milano, vi era un nobile cavaliere, il Signor Roderico di Ripalda, capitano di una compagnia di fanti. Tra questi vi era Francesco della Torre, già capitano in Spagna, e Francesco Cisneros, capitano di bandiera, uomo di grande ingegno, ardimento e nobile aspetto. Un giorno, Cisneros si incontrò con Francesco della Torre per reclamare del denaro che gli aveva prestato tempo addietro. Ne nacque prima una discussione accesa, poi una lite, e infine, Cisneros, uomo forte e deciso, con un solo colpo di spada uccise il rivale. Resosi conto della gravità del suo gesto, fuggì immediatamente da Lodi temendo la giustizia.

Il Marchese di Pescara, che già da tempo aveva notato il valore di Cisneros e lo stimava segretamente, gli fece sapere di tornare a Lodi, garantendogli la sua protezione. Così fece Cisneros, ma poco dopo, un messaggero gli ordinò, per conto del Marchese, di non allontanarsi dalla sua abitazione. Senza sapere cosa lo attendesse, trascorse trenta giorni in grande apprensione, finché una notte il suo capitano, Roderico di Ripalda, lo raggiunse e gli disse:

“Cisneros, vengo da te per ordine del nostro Illustrissimo Marchese, il quale desidera che tu compia un’impresa. Se la porterai a termine, diventerai il più felice e onorato degli uomini. E sebbene la missione possa sembrarti pericolosa, sappi che il Marchese ha grande fiducia nella tua astuzia e nel tuo coraggio, e non avrebbe scelto nessun altro per questo incarico. Dovrai entrare in Pavia e consegnare lettere e denaro al Signor Antonio de Leva. Il compito è rischioso, ma pensalo come un atto che salverà l’onore dell’Imperatore, difenderà il Duca di Milano, aiuterà il Marchese a ottenere la vittoria e libererà tutta l’Italia. Se non soccorriamo Pavia, la città cadrà nelle mani dei Francesi.”

Udito ciò, Cisneros fu colpito dalla gravità dell’impresa, ma con fermezza rispose:

“Che Dio voglia che questa missione abbia successo! Io la accetto con tutto il cuore e farò del mio meglio per portarla a termine.”

Ripalda, soddisfatto della risposta, riferì tutto al Marchese di Pescara, che ricevette Cisneros con grandi onori e gli spiegò nel dettaglio il piano. Al termine del colloquio, il Marchese concluse:

“Vanne a riposarti. All’alba tornerai da me e discuteremo il modo migliore per portare a termine la missione.”

Così, Cisneros riposò e all’alba fu nuovamente al cospetto del Marchese. Dopo aver riunito i suoi consiglieri, venne deciso il miglior modo per farlo entrare in Pavia. Fu quindi convocato un compagno fidato, Bartolomeo Romero, a cui fu consegnata una lettera destinata al Capitano Pietro Guevara, comandante degli Spagnoli al servizio del Re di Francia. Romero doveva ottenere un salvacondotto per Cisneros, fingendo che questi fosse un disertore fuggito per un omicidio.

Romero entrò nel campo francese, consegnò la lettera e riferì le parole di Cisneros. Guevara portò la questione ai consiglieri del Re e, parlando favorevolmente di Cisneros, ottenne che Sua Maestà gli concedesse il salvacondotto. Tuttavia, Romero venne sottoposto a numerosi interrogatori e persino imprigionato, ma con fermezza e ingegno non rivelò nulla. Infine, fu liberato e riportò il salvacondotto a Cisneros.

Così Cisneros e Romero lasciarono il campo imperiale e si presentarono a Guevara, che li condusse dai più alti ufficiali francesi e infine al Re. Interrogati dettagliatamente, riuscirono abilmente a convincere tutti della loro lealtà. Furono trattati con grande rispetto e onore, e presto ebbero modo di muoversi liberamente nel campo francese.

Nel frattempo, due contadini, d’accordo con Cisneros e Romero, avevano trasportato tre mila ducati d’oro nascosti in giubbotti sotto carichi di burro, portandoli nel campo francese e attendendo il momento opportuno per recapitarli ai due Spagnoli. Tuttavia, i contadini furono costretti a spostare la loro bottega, e quando Cisneros e Romero tornarono a cercarli, non li trovarono più, temendo il peggio. Dopo un’angosciosa ricerca, Romero individuò finalmente la nuova ubicazione della bottega e poté recuperare il prezioso carico.

Trovato il modo di uscire dal campo francese, Cisneros e Romero si diressero verso Pavia, dove furono accolti con gioia dal Signor Antonio de Leva e dai capitani imperiali. Estrassero le lettere e il denaro nascosti nei loro giubbotti e li consegnarono con queste parole:

“Il Marchese di Pescara e tutti i nostri capitani vi salutano e vi esortano a mantenere alto il morale. Il Marchese farà di tutto per liberarvi dall’assedio. Non può ancora muoversi, poiché l’esercito imperiale è troppo debole rispetto ai Francesi, ma presto arriverà il Duca di Borbone con migliaia di Tedeschi. Quando sarà giunto, l’esercito imperiale vi porterà aiuto. Nel frattempo, il Marchese vi invia questi tre mila ducati per alleviare le sofferenze dei soldati.”

All’udire queste parole, gli uomini di Pavia si rallegrarono e trovarono nuova forza per resistere all’assedio, preferendo patire ogni privazione piuttosto che arrendersi al nemico.

 

F. Taegio, “Rotta e prigionia di Francesco primo, re di Francia, sotto Pavia l’anno 1525”, tradotta dal Cremonese Cambiago, Pavia, per Gio. Andrea Magri Stampatore della Città, 1655

testo storico elaborato da chatGPT per una migliore comprensione.

Recenti

Gli Autori