Dopo aver lasciato le brume di Pavia e le tenebre della disfatta, Francesco I, Re dei Francesi, fu condotto per terra e per mare, non come un miserabile prigioniero, ma quasi come ospite illustre di un impero vittorioso. Così racconta il diligente Antonio Grumello, testimone di quei giorni e dei suoi più curiosi risvolti.
Da Pizzighettone al cuore dell’Impero
Il Re dimorò nel castello di Pizzighettone per quasi tre lune, dal 28 di febbraio al 18 di maggio, passando il tempo in giochi e passatempi gentili con i capitani di Cesare, tra partite di ballone e pilotta, come se la guerra fosse già un ricordo lontano e la prigionia una villeggiatura.
Ma giunsero in quei giorni lettere dall’Imperatore Carlo V, detto “Cesare”, che comandavano che il Re fosse condotto non in Francia né in Lombardia, bensì nel Regno di Napoli, più precisamente nel Castel Nuovo, a ridosso del mare e della gloria aragonese.
Il Viceré di Napoli, ricevuto l’ordine, fece montare il Re a cavallo e lo guidò per via di Voghera, poi verso Genova, dove lo attendeva un’armata navale, pronta a prendere il largo.
Una rotta mutata: da Ligurno a Valenza
Giunti al porto di Livorno, gli alloggiamenti furono predisposti per la notte. Ma ecco che, come spesso accade nei drammi della politica, un berghantino giunse in fretta con nuove lettere imperiali: cambiamento di rotta! Il Re non doveva più recarsi a Napoli, ma proseguire verso Valenza in Ispagna, città portuale del dominio di Cesare.
Subito si fece vela. A Valenza, il Re fu accolto con grandissimo onore, ché la dignità non si nega al nemico vinto ma nobile. A far da scorta, Moransi, capitano francese, giunto con l’armata del Re per accompagnarlo. Era stato liberato dal Duca di Borbone, insieme al suo pari Brion, affinché negoziassero un accordo di pace tra il loro re prigioniero e l’Imperatore vincitore.
Una cecità improvvisa
Ma ahimè! La sorte, che non si accontenta mai di piegare i grandi, volle colpire anche gli occhi del Re. Dopo alcuni giorni in terra iberica, una misteriosa infermità lo assalì agli occhi, tanto che quasi perse la vista. Forse fu male del clima, o stanchezza di spirito, o pena interna che si fece carne. Di certo fu simbolo eloquente: la vista mancava a colui che aveva osato sfidare l’Impero senza scorgere l’abisso della sconfitta.
Conclusione
Così si compì il viaggio del Re di Francia, da re potente a prigioniero onorato, da Pavia a Valenza, tra giochi, cambi di rotta e cecità. Ed è lezione per i posteri: la fortuna dei potenti è simile al vento di mare, che oggi gonfia le vele e domani le strappa.