La Cronaca di Martino Verri sulla Battaglia di Pavia

La Cronaca di Martino Verri sulla Battaglia di Pavia
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L.M.

La Battaglia di Pavia non fu un semplice scontro d’armi, ma un intreccio di inganni, audacia e tragedia, i cui dettagli ci sono giunti grazie ai cronisti dell’epoca. Quella che segue è solo la prima delle cronache di quel giorno memorabile: il racconto di Martino Verri, testimone degli eventi che sconvolsero il destino di Francesco I e della cristianità intera.

Nel giorno di San Mattia dell’anno del Signore 1525, quando le stelle ancora regnavano sui cieli di Pavia e le nebbie notturne indugiavano sopra i campi insanguinati della guerra, si consumò uno degli episodi più memorabili della battaglia. Martino Verri, testimone e cronista, ci tramanda con vibrante prosa il susseguirsi degli eventi che portarono alla rovina delle armi francesi e alla cattura del loro augusto sovrano, Francesco I.

Con astuzia e inganno, il Marchese di Pescara e il Duca di Borbone ripeterono i falsi allarmi delle notti precedenti, intessendo una tela di inganno che gettò il campo francese in una fatale illusione. Quando, infine, le loro armate si mossero davvero, fu con la furia e la precisione di un colpo magistrale: la murata del Barco fu abbattuta, le artiglierie aprirono la via alla fanteria imperiale, e il ferro e il fuoco calarono sui soldati di Francia, ancora addormentati nell’illusione della sicurezza.

La descrizione di Verri, intensa e cruda, ci conduce attraverso le prime ore della battaglia: le urla straziate dei francesi sorpresi dall’assalto, la confusione che paralizzò l’esercito cristianissimo, la manovra rapida e letale del Duca di Borbone che, avanzando con la cavalleria, si diresse verso il cuore del campo avversario, dove riposava il Re stesso.

Lo scontro fu tremendo, il sangue si mescolò alla terra, e il destino della Francia si infranse tra le ombre del bosco del Barco. Francesco I, pur combattendo con l’ardore di un leone assediato, si ritrovò intrappolato, abbandonato dai suoi, senza scampo. Il resoconto di Verri ci racconta il momento in cui il grande sovrano, comprendendo l’irreparabile disfatta, scelse di consegnarsi, ma non nelle mani del traditore Borbone, bensì in quelle del valoroso Marchese di Pescara, il quale, pur ferito, lo trattò con il rispetto dovuto al suo rango.

La cronaca di Martino Verri è dunque una finestra aperta su quel giorno fatale, quando il fato della cristianità fu deciso tra la spada e il piombo, e il mondo conobbe l’epilogo della grande disfida tra Carlo V e il suo irriducibile rivale. Il testo originale, che segue, permette di udire la voce del tempo e di rivivere le ore concitate in cui la gloria di Francia si spense sotto le mura di Pavia.

Ma questa è solo una voce tra le tante che hanno tramandato l’eco della battaglia. Altre cronache seguiranno, offrendoci nuovi dettagli e prospettive su quella giornata di ferro e fuoco, quando il fato d’Europa fu deciso sotto le mura di Pavia.

Preparatevi dunque a varcare la soglia della storia, guidati dalle parole di chi vide e scrisse.

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Martino Verri

Quando giunse il giorno di San Mattia, il Marchese di Pescara e il Duca di Borbone fecero suonare ripetutamente l’allarme nel campo francese, come era già stato fatto nelle notti precedenti, per ingannare i nemici e farli credere che si trattasse ancora di un falso allarme. Così facendo, al momento decisivo, i francesi furono colti di sorpresa e sprovvisti di difesa.
A due ore prima dell’alba, come da accordi, i comandanti imperiali fecero abbattere in silenzio la murata del Barco, già precedentemente indebolita, e subito fecero passare due pezzi d’artiglieria leggera. Quindi il Marchese di Pescara, guidando la fanteria italiana e spagnola, piombò sulle guardie francesi, uccidendone gran numero. I francesi, colti all’improvviso, iniziarono a gridare: “All’armi! All’armi!”, ma ormai era troppo tardi. La maggior parte del loro esercito, abituata ai falsi allarmi dei giorni precedenti, trascurò il pericolo e tardò ad armarsi, subendo un colpo devastante.
Nel frattempo, il Duca di Borbone si mosse con tutta la sua cavalleria lungo un altro passaggio del Barco, dirigendosi verso Mirabello, dove si trovava l’alloggiamento del re Francesco I di Francia. Giunto lì, trovò che il re, insieme ai suoi nobili e cavalieri, si era già mosso per soccorrere il campo francese attaccato dal Marchese di Pescara. Senza esitazione, il Duca di Borbone incalzò gli avversari e li assaltò, ingaggiando una feroce battaglia.
Così, il re cristianissimo e la sua corte si trovarono intrappolati tra la cavalleria del Duca di Borbone e la fanteria del Marchese di Pescara. Tuttavia, Francesco I non perse il coraggio e si pose valorosamente a combattere contro gli imperiali. Lo scontro fu tremendo e da entrambe le parti cadde un gran numero di uomini, segnando l’inizio della battaglia decisiva.
La battaglia giunse a un punto cruciale quando la cavalleria di Francesco I si trovò in grave difficoltà. Non potendo attaccare efficacemente la fanteria del Marchese di Pescara, che era ben protetta dal bosco del Barco, i cavalieri francesi furono grandemente svantaggiati. Il fitto della foresta impediva loro di entrare in formazione e di colpire le truppe nemiche, mentre le fanterie imperiali, armate di archibugi, potevano sparare con facilità contro i francesi, infliggendo loro gravi perdite.
Resosi conto dell’impossibilità di sfondare quel fronte, il re cristianissimo decise di voltarsi e dirigersi verso l’altro lato del campo per tentare di soccorrere le proprie truppe. Tuttavia, nel compiere questa manovra, si ritrovò improvvisamente con le spalle rivolte alla cavalleria del Duca di Borbone, che lo aveva accerchiato con un attacco fulmineo.
A quel punto, l’esercito francese crollò completamente: una parte della cavalleria fu sterminata, un’altra messa in fuga, e il resto fatto prigioniero. Francesco I si ritrovò isolato, abbandonato da tutti i suoi uomini, circondato dalle forze imperiali, sia di cavalleria che di fanteria. Costretto dalla disperata situazione, il re non ebbe altra scelta che arrendersi, consegnandosi nelle mani degli imperiali.
Tuttavia, rifiutò fermamente di arrendersi al Duca di Borbone, preferendo piuttosto essere ucciso sul campo piuttosto che cadere nelle sue mani. Scelse invece di consegnarsi al Marchese di Pescara, ritenendo più onorevole affidarsi a lui.
Dopo la cattura, Francesco I rifiutò di essere condotto nel castello di Pavia come prigioniero e chiese invece di essere portato altrove. Il Marchese di Pescara, trattandolo con il rispetto dovuto alla sua dignità regale, lo scortò con grande onore e reverenza a San Paolo per la notte successiva.
Nel frattempo, lo stesso Marchese di Pescara, che era stato ferito durante la battaglia, si fece curare la piaga che aveva ricevuto nel combattimento contro i francesi.

M. Verri, “Narrazione del pavese Martino Verri, testimonio oculare dei fatti accaduti in Pavia...”, “Il comune dei Corpi Santi di Pavia e ca de Tedioli”. Carlo Dell'Acqua. Pavia, Tip. Fratelli Fusi, 1877

testo storico elaborato da chatGPT per una migliore comprensione.

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