
L.M.
Dopo aver dato voce alla cronaca di Martino Verri, oggi si solleva un nuovo velo sulla tragedia e sul trionfo di Pavia. Un’altra testimonianza si aggiunge al racconto, un’altra eco del giorno in cui la Francia vide svanire le sue speranze e l’Impero consolidò il suo dominio. Questa volta, è un cronista anonimo a narrare il destino della battaglia, con parole incise nel ferro e nel sangue.
Ecco la voce del passato, un’eco lontana che ancora rimbomba tra le mura di Pavia, dove il destino degli eserciti e dei sovrani si infranse come onde furiose sugli scogli della guerra. Una cronaca senza nome, ma colma della solennità di chi vide, udì e raccontò. Un testimone silenzioso della grande disfatta, del trionfo implacabile e dell’ineluttabile capovolgersi della sorte.
Nella notte gravida di presagi, mentre il firmamento vegliava impassibile, trombe e tamburi squarciarono il silenzio, chiamando gli uomini d’arme a radunarsi. Il fato aveva parlato, e nessuno avrebbe potuto sottrarsi al suo decreto. Gli imperiali, con ingegno e astuzia, finsero ritirata, e come un serpente che attende la preda, attirarono i francesi nell’illusione del trionfo. Ma all’ombra degli alberi del Barco, i gigli di Francia erano già avvizziti. Tre squarci si aprirono nelle mura, e da essi proruppero le forze del Marchese di Pescara e del Duca di Borbone, portando con sé ferro, fuoco e morte.
L’aria si fece spessa di polvere, i lamenti dei morenti si mescolarono al clangore del metallo. Gli Svizzeri, fedele baluardo della Francia, si gettarono nel turbine della battaglia, decisi a salvare il loro re. Ma il tempo delle prodi gesta era giunto al crepuscolo: circondati, falciati dalla tempesta di piombo, caddero uno a uno, lasciando sul campo il tributo di sangue alla sorte avversa.
Ed eccolo, Francesco I, il cristianissimo, il leone di Francia, che ancora combatteva con furore, abbattendo di sua mano il Marchese di Sant’Agnolo. Ma il destino, come la guerra, è crudele. Circondato, ferito e privato della sua cavalcatura, si trovò solo nel gorgo della disfatta. Resistette con l’orgoglio di un re, ma infine, il ferro nemico prevalse: il cristianissimo re non si arrese per viltà, ma perché neppure l’eroismo può trionfare sull’ineluttabile.
Così cadde Francesco, non nella polvere dell’oblio, ma nelle catene della storia. Così si sigillò, con ferro e sangue, il destino di un regno. E la gloria di Carlo V brillò come astro dominante nel cielo d’Europa.
Questa cronaca anonima è un frammento dell’eternità, una delle tante voci che narrano il giorno in cui il fato parlò, e Pavia divenne l’altare su cui si sacrificò la grandezza di Francia. Altre seguiranno, perché la storia non ha un solo volto, e il suo canto non si ode da una sola bocca.

Anonimo Pavese
Poi, circa le 23 ore, il tamburo e la trombetta generale andarono per tutta la città, facendo sapere che la mattina seguente, un’ora innanzi il giorno, ognuno dovesse essere alle sue bandiere, alla Porta del Castello, perché si aveva a fare la giornata, la quale fu come sentirete.
L’Ill.mo Signor Viceré, il Duca di Borbone, il Marchese di Pescara, con tutti gli altri capitani spagnoli e tedeschi, deliberarono di soccorrere Pavia.
Circa la mezzanotte fecero levare il loro campo e vennero verso il Barco, dove, con grande velocità, fecero in tre luoghi rompere il muro; ma, prima della rottura, fecero mostra di volersi ritirare e andare verso Lardirago, sulla strada di Lodi.
I Francesi, credendo che i nostri dovessero fuggire, essendo già in armi, ritornarono ai loro alloggiamenti.
In questo tempo, essendo da una banda rotto un gran pezzo del muro, il Signor Marchese di Pescara, che guidava l’avanguardia, per quello entrò nel Barco e ivi smontò con la fanteria, dirigendosi verso Mirabello, dove pensava di trovare i Francesi; ma non li trovò e fece alto, aspettando il Marchese del Vasto, che guidava la gente d’arme.
Con l’artiglieria si diressero verso i nemici e, già fatto giorno, fecero sparare le artiglierie, le quali una sola volta poterono scaricare.
Perciò gli Svizzeri furono tanto presti sopra essa artiglieria che poco mancò non fosse perduta.
Lo Signor Marchese, vedendo il gran pericolo, subito avvisò il Signor Vice Re e il Duca di Borbone che dovessero tutti entrare, ché era tempo di combattere generosamente.
Così lui, con una picca e tutta la fanteria spagnola, andò alla volta dell’artiglieria francese, la quale faceva estremo danno ai nostri cavalli, di sorte che fu forza al Marchese del Vasto partirsi da quel luogo dov’era e andare più oltre, talmente che pareva ai nemici che fuggissero.
Lo Signor Marchese di Pescara, con tanta celerità e animo, circondò con gli archibugieri e schioppettieri spagnoli e italiani la prefatta artiglieria francese, e, subito fatta una buona uccisione degli nemici, acquistò tutta l’artiglieria dei Francesi.
Poi si voltò ad un grosso battaglione di forse 4 mila fanti Svizzeri, con i quali cominciò una grandissima battaglia e tanta uccisione, che quelli non scamparono per metà.
Fatto questo, vedendo lui la nostra gente d’arme attaccata con l’avanguardia dei Francesi, dov’era il Re con quasi tutti i Signori di Francia, e non essendo i nostri cavalli sufficienti a combattere con i nemici, per esser quelli in numero maggiore rispetto ai nostri, subito mandò circa 500 schioppettieri e archibugieri in soccorso della nostra cavalleria.
Questi fecero tanto fracasso tra la gente francese che da ciò derivò l’intera vittoria, poiché cominciarono a mettersi in gran fuga.
Mentre si combatteva in quel canto tra una schiera d’armi e l’altra, il Signor Marchese andò ad assaltare un grosso squadrone di lanzichenecchi, i quali inizialmente combatterono con grande valore, ma vedendosi maltrattati dai nostri schioppettieri e archibugieri, abbassarono le picche e si diedero alla fuga.
I nostri perseguitarono l’avanguardia della cavalleria francese, la quale, dopo aver combattuto gagliardamente con i nostri, vedendo la maggior parte dei suoi uomini cadere per mano dei sopradetti schioppettieri e archibugieri, in parte si diede alla fuga e in parte si arrese
E così fu acquistata una gloriosa vittoria in quel giorno di Santo Mattia Apostolo, che cadeva il 24 di febbraio.
Poiché sarebbe troppo lungo descrivere ogni dettaglio, vi basterà sapere che, secondo le stime fatte, nel primo scontro furono uccisi circa 5.000 o 6.000 uomini, e altrettanti morirono nella fuga lungo la via o annegati nel Ticino, tentando di attraversarlo a piedi o a cavallo.
Tra i baroni e i signori che furono presi prigionieri o uccisi, vi racconterò di alcuni:
Il Re Francesco, Cristianissimo Re di Francia, dopo un lungo combattimento e dopo aver ucciso con le proprie mani il Marchese di Sant’Angelo, uomo di grande valore nell’arte militare, cadde a terra con il suo cavallo ucciso. Circondato da quattro uomini d’arme imperiali, ricevette una ferita alla bocca per non volersi arrendere, ma infine si rese a un uomo d’arme del Vice Re e così fu fatto prigioniero.
Gli altri prigionieri furono:
- Il Re di Navarra,
- Il Bastardo di Savoia, il quale poi morì,
- Suo fratello, il Conte di Tenda,
- Il Gran Maresciallo,
- Monsignor de Scu, che successivamente morì per le gravi ferite,
- Monsignor di San Paolo,
- Monsignor d’Obignin,
- Monsignor de Vandon,
- Monsignor de Momoransi e un suo fratello,
- Monsignor di Saluzzo,
- Monsignor di Sanmeme,
- Il Governatore di Limosino,
- Monsignor di Bonavale, che poi morì,
- Monsignor di Brion,
- Monsignor di Parigi,
- Monsignor di Sarmosar,
- Monsignor di Floranges,
- Il Signor Federico da Bosolo,
- Il Signor Galeazzo Visconti,
- il Signor Pietro da Belgioioso,
- il Conte Pietro Maria de’ Rossi
e circa altri 20 nobili di alto lignaggio di Francia, i cui nomi presto conoscerete, insieme a tutti i dettagli del successo ottenuto.
Per ora non posso riferirvi tutto, essendo ancora confuso dall’allegria per una vittoria così grande.
I caduti nella battaglia sono i seguenti:
- Monsignor di Lorena, fratello del Duca e generale capitano di tutti i Lanzichenecchi,
- Monsignor della Tramoglia,
- Monsignor della Palizza,
- Il Barone Busantiers, luogotenente della Palizza,
- L’Ammiraglio,
- Monsignor de Tonara, nipote della Tramoggia,
- Il figlio dell’Ammiraglio,
- Il Duca di Suffort,
- Monsignor de Blancarosa, al quale spettava il Regno d’Inghilterra,
- Monsignor de Busi,
- Il Signor Galeazzo Sanseverino,
e molti altri, i cui nomi ancora non si conoscono.
Per tutto ciò rendiamo infinite grazie al Signore Iddio, che ci ha liberati da tanta strage e guerra.
Dato a Pavia, il 24 febbraio, all’ora 23, dell’anno 1525
A. Bonardi, “Diario inedito dell’assedio e della battaglia di Pavia, 1524-1525”, in Memorie e Documenti per la Storia di Pavia e suo principato, P. Moiraghi, Pavia, Premiata tipografia ed eliotipia fratelli Fusi, 1894
testo storico elaborato da chatGPT per una migliore comprensione.

Anonimo Pavese
Poi, circa le 23 hore, il tamburo et trombetta generalle andò per tutta la città, facendo sapper che la mattina seguente, un’hora innanzi il giorno, ogn’un dovesse essere alle sue bandiere, alla Porta del Castello, perché si havea a far la giornatta, la qual fu come sentirette.
L’Ill.mo Signor Viceré, il Duca di Borbone, il Marchese di Pescara, con tutti gli altri cappitani spagnoli et tedeschi, deliberemo soccorrer Pavia.
Circa la meza notte, fecero levar il loro campo, et venero verso il barco, dove con gran vellocità fecero in tre lochi romper il murro; ma nanzi la rottura, fecer mostra di volersi rettirare, et andar verso lo Aldirago, alla stradda di Lodi.
Li Fransesi, credendo che li nostri dovesser fuggir, essendo già loro in arme, ritornorno alli suoi alloggiamenti; et in questo tempo, essendo da una banda rotto gran pezzo de’ murro, il Sig.r Marchese de Pescara, il qual guidava la vanguardia, per quello entrò nel barco, et ivi dismontò con la fantaria, et si drizzò alla via di Mirabello, dove pensava trovar li Fransesi.
Ma non li trovò, et fece alto, aspettando il Marchese del Vasto, il qual guidava la gente d’arme, et con l’artigliaria si drizzorno verso gli inimici.
Già fatto giorno, et fatte sbarar le artigliane, le qual una sola fiatta si poteno scargar.
Perciò li Sviceri furon tanto presti sopra essa artigliaria che poco mancò non fosse perdutta.
Lo Sig.r Marchese, vedendo il gran pericolo, subito havisò il Sig.r Vice Rè et il Duca di Borbone, che dovesseno tutti entrar, ch’era tempo di combatter generosamente.
Così lui, con una picca, et tutta la fantaria spagnola, andò alla volta dell’artigliaria fransese, la qual nelli nostri cavalli facea estremo danno di sorte, che fu forza al Marchese del Vasto partirsi da quel loco dov’era, et andar più oltra, talmente che parea agli nemici che fuggissero.
Lo Sig.r Marchese de Pescara, con tanta celerità et animo, circondò, con li arcobusieri et schioppettieri spagnoli et italiani, la prefatta artigliaria fransese, che subito, fatta una buona usission delli inimici, aquistò tutta l’artigliaria de fransesi.
Poi si voltò ad un grosso battaglione de forse 4 mila fanti sviceri; con quelli cominciò grandissima battaglia, et tanta usissione, che quelli non scamparono la mettà.
Fatto questo, vedendo lui la nostra gente d’arme attaccata con la vanguardia de’ fransesi, dov’era il Re con quasi tutti li Signori de Franza, et non essendo li nostri cavalli sufficienti a combatter con li nemici, per esser quelli per la mettà più delli nostri, subito mandò circa 500 schioppettieri et archibugieri in soccorso de’ nostri cavalli.
Quelli fecero tanto fracazzo nella gente francesca, che da qui causò tutta la vittoria, perché cominsiorno mettersi in gran volta.
Mentre si combattea, in quel canto fra l’una gente d’arme et l’altra, lo Sig.r Marchese andò ad assaltar un grosso squadron di Lansinach, li qual, al principio, fecero assai da valenti huomeni, ma vedendosi molto maltrattar dalli schioppettieri et archibugieri, abbassarono le picche et si misseno in fugga.
Li nostri perseguitorno la vanguardia della gente d’arme fransesa, la qual poi, ch’ebbe gagliardamente combattuto con li nostri, vedendo la maggior parte morir per man de sopradetti schioppettieri et archibugieri, parte si dette in fugga, parte si rese.
Et così fu aquistatta una gloriosa vittoria in quel giorno di Santo Mattia Apostolo, ch’è alli 24 de febraro.
E perché saria lunga scittura a voler raccontar il tutto, solo vi basterà per ora sapere, come li fu morto a questo primo conflitto, secondo la estimattion fatta, circa 5 mila over 6 mila huomeni, et più d’altratanti nel fugir per la via sono restatti morti, et nel Tisino annegatti, volendo passar, chi a piedi et chi a cavallo.
Delli baroni et signori che sono restatti prigioni et morti
Ve ne contarò per alcun, cioè: Il Re Francesco, cristianissimo Re di Franza, doppo lungo combatter et avendo con sue mani usciso il Marchese de Sanf Agnolo, huomo di somma virtù nell’arte militare. Morto lo suo cavallo, circondano da 4 nostri huomeni d’arme, da uno delli quali havendo havuta una ferrita nella bocca, per non volersi rendere, finalmente si rese ad uno huomo d’arme del Vice Re, et così fu fatto prigion.
Gli altri prigioni sono: il Re di Navarra, il Bastardo di Savoggia, qual poi è morto, il suo fratello, il Conte di Tenda, il Gran Marescalco, Monsig.r de Scu, il qualle dappoi è morto per le gran ferrite, Monsig.r de S.Paolo, Monsig.r d’Obignin, Monsig.r de Vandon, Monsig.r de Momoransì et uno suo fratello, Monsig.r de Saluzzo, Monsig.r de Sanmeme, il Governator de Limosin, Monsig.r de Bonavale, qual doppo è morto, Monsig.r de Brion, Monsig.r de Paris, Monsig.r de Sarmosar, Monsig.r de Floranges, il Sig.r Federico da Bosolo
Tra i prigionieri vi sono ancora: il Sig.r Galeazzo Visconti, Il Sig.r Pietro da Beigioioso, il Conte Pietro Maria de’ Rossi Et circa altri 20 di gran legnaggio de Franza, li nomi de’ quali in breve saprette, et insieme tutto il successo; perché così al presente non vi posso dir il tutto, per esser molto confuso d’allegrezza di tanta vittoria.
Li morti nella battaglia sono questi:
Monsig.r di Lorena, fratello del Duca et General cappitano de’ tutti li Lansenach, Monsig.r della Tramoglia, Monsig.r della Palizza, Il Baron Busantiers, locotenente della Palizza, Lo Armiraglio, Monsig.r de Tonara, nepote della Tramoggia, il figliolo dello Armiraglio, il Duca di Suffort, Monsig.r de Blancarosa, a cui spettava il reame d’Inghilterra, Monsig.r de Busi, il Sig.r Galeazzo S. Severino e molti altri, de’ quali finora non si può sapper il nome
Per la qual cosa gratie infinite rendiamo al Signor Iddio, che ci ha liberatti da tanta uscisione et guerra.
Datti Papiae, die XXIII februarij, hora XXIII, 1525
A. Bonardi, “Diario inedito dell’assedio e della battaglia di Pavia, 1524-1525”, in Memorie e Documenti per la Storia di Pavia e suo principato, P. Moiraghi, Pavia, Premiata tipografia ed eliotipia fratelli Fusi, 1894